IL KIPPLE – Sempre tra noi


Il “Kipple” ecco una vera e propria  nuova parola, sempre attuale del nostro secolo. Inventata dal grande scrittore di fantascienza Philip K.Dick, per chi ancora non lo conoscesse … ma dubito fortemente, sia un nome ormai completamente sconosciuto,  visti i temi dei suoi lavori di ormai parecchi anni fa, eppure cosi dannatamente di “oggi”. Fu un vero e proprio visionario, si può dire di lui in poche righe (ma ne meriterebbe molte di più) che sia stato innanzitutto un grande pioniere a 360° e con largo anticipo, del mondo sotterraneo che pian piano sarebbe venuto a galla, con la “crescita” sempre più forte, umana, legata stretta al fenomeno del  consumismo. Realtà virtuali, macchine che prendono il posto degli umani, macchine che provano emozioni e pensano come umani, la manipolazione della coscienza, una sempre maggiore mancanza di individualità … l’avanzare di un potere oscuro grazie all’aiuto di mezzi definiti socialmente utili. Il filo conduttore di tutti questi temi ed altri che non ho menzionato è  la società sempre più globale e consumistica. Il nostro Dick ai suoi tempi , fu osservato, tenuto a bada, reso persino un pazzo per renderlo meno credibile alla folla e più insicuro di sé stesso … ma quest’uomo ha toccato a pieno la realtà, ed ora viene osannato, compreso, studiato, perché trovò le parole a quell’indefinita sensazione di disagio, che ora è nel pieno del suo sfogo.                         Torniamo al tema del nostro post: il Kipple. possiamo trovare la sua descrizione nel libro:  <<Ma gli androidi sognano pecore elettriche?>>  da cui è tratto il celeberrimo film “Blade Runner”.

“Kipple, sono tutti gli oggetti inutili, come una bustina di fiammiferi dopo aver usato l’ultimo fiammifero, o una fascetta gommata, o il giornale omeopatico del giorno prima. Quando non c’è nessuno in giro, il kipple si riproduce. Per esempio, se vai a letto lasciando in giro del kipple, la mattina dopo, quando ti svegli, ce n’è il doppio. E diventa sempre di più.”  (CIT)

Chi di noi scoprendo questo termine non lo associa a un problema che negli anni è stato sempre più crescente, ovvero “il rifiuto”? Ogni bene è a consumo e finisce, dopo il suo uso, per diventare un oggetto usato (con meno valore) oppure uno scarto, di cui liberarsi, altrimenti ci prenderà dello spazio, sempre più, tanto da sommergerci.

Ma esiste una scelta? Pure quella di non voler gettare via non è cosi semplice, perché tutto è costruito in modo che non esiste altra soluzione. O almeno questo è quello che ci sembra, prendendo come spunto la nostra esperienza e quella altrui. All’azione del gettare, ecco altre parole collegate: la velocità, il tempo che fugge via, e il maggior numero di assortimento; tutte tendono ad annullare  sempre più la capacità di fermarsi, riflettere e assaporare il momento. Quello che preoccupa, è che non si tratta più, solo di cose materiali, anche i rapporti interpersonali, sono stati resi a consumo allo stesso modo, ci deve essere insomma qualcosa sempre di meglio da scartare, provare e poi.. di cui doversi liberare. L’insieme di bisogni e interessi, con sempre quella punta di incompletezza, è un po’ come se ci venisse accostata una tetta gonfia di latte, già bella pronta, cosi un altro giorno se ne va, senza poter girare la testa in senso opposto, a ciò che potrebbe essere la fonte di  un grosso problema o diventarlo con il tempo. Siamo circondati di “cose”, e illustri personaggi che per professione, pensano per noi, ci dicono chi siamo, di cosa veramente abbiamo bisogno per star bene … i veri momenti di libertà probabilmente sono stati quelli che ci vengono indicati come “i peggiori” della nostra vita, cosi tendiamo ad allontanarli. Allontaniamo la possibilità di essere qualcuno che veramente conta, in questo sistema da palcoscenico e la sua massa compatta di “originali” che compiono sempre le stesse azioni, anche se con maschere e rappresentazioni  differenti. Già di per sè chi vuol salire un gradino sopra, vale meno di niente e non ha empatia … e farci salire gli altri ( accomunandoli alla stessa ideologia) lo rende uno sbaglio ancora maggiore; è scendere i gradini che ti rende grande, l’umiltà è la migliore lezione che si possa dare. Domandarsi cosa ci porta ad essere chi siamo … con tanto di scelte ed azioni, può spianarci da quella massa di inutilità di cui ci sommergiamo? Cosa ci serve realmente? Cosa può renderci felici? La risposta è dentro di noi e non fuori … guardiamo li e basta. Meno si ha e di meno avremo bisogno. Schiavi di abitudini e dipendenze indotte, noi tutti abbiamo abboccato all’amo, ma possiamo anche fuggirlo, serve forza! Liberiamoci del superfluo, riutilizziamo i materiali, costruiamo con quello che abbiamo, scambiamo, doniamo. L’inizio sarà forse la parte più dura. Cosa accadrà poi? Come mantenere rapporti, con la scoperta che in molti ti usano e ti gettano al pari del Kipple? Ma per tornare a stare bene, e realizzarsi è inevitabile come passo. Anche la famiglia non è rimasta immune dalla commercializzazione dei rapporti, i primi a beneficiare di un nostro cambiamento, saranno proprio loro, le persone più vicine e che ci conoscono oltre le apparenze, dopo un kaos iniziale, tornerà la pace, non ci si può svegliare da soli. Saremo da esempio, oppure no, in fondo la famiglia è stata minata per prima nei valori veri, e lo dimostra il fatto che nessuna coesione persino di sangue ha limitato, l’avanzata del consumo, verso la rovina delle fondamenta più importanti. Il coraggio di oggi non è trovare la forma più contorta di sé, ma quella semplice e che vive il massimo con il minimo (nel senso buono), non si può rifuggire dall’altruismo, dobbiamo guardare verso ogni dove, con gli stessi sentimenti. E i rapporti di coppia o di amicizia o famigliari non saranno più dei limiti ma l’esaltazione, con tutti i problemi e i sacrifici che richiedono. Stiamo fuggendo solo da una cosa, le nostre paure, li è il centro di tutto … inquietante da una parte, ma anche no … il lato spaventoso è solo un immagine di autodifesa a favore purtroppo proprio di quello che ci sta facendo male. Se il mondo che si vuole non c’è, basta crearlo! Prima però capiamo se davvero nasce da qui dentro (mano sul petto) o da qui (indice sulla tempia).

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